DOMENICA V TOC.doc

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DOMENICA V – C


Santo, Santo, Santo, Dio, il Signore
fuoco dello Spirito, ardore d’amore
cantano l’un l’altro i serafini alati.

La misericordia di Dio non distrugge 
la creazione nel fuoco suo potente, 
la trasfigura di luce nel suo amore.

Angeli, santi, creature tutte del cielo
senza fine cantate la sua misericordia 
nello splendore, che sempre vi fa nuovi.

La Carne del Verbo attenua la gloria di Dio
nella grazia del più bello tra i figli dell’uomo.
Pietro la vide dentro di sé ed ebbe paura.

Dove fuggire lontano dal tuo volto, o Dio?
Adamo non ti nascondere: è il tuo Signore,
Egli ti cerca per coprire la tua nudità.

Non temere! La veste regale è pronta,
di porpora e bisso sarai rivestito 
alla mensa preparata dall’eternità.

Grida la tua fede nel Signore risorto,
sii anello nella catena apostolica,
altri a te si uniscano nell’unica lode.

Gloria a te, Signore risorto!



PRIMA LETTURA	Is 6,1-2a.3-8

Dal libro del profeta Isaìa

Il testo della chiamata d’Isaia si presenta strutturato in tre parti: a) la rivelazione divina (1-4); b) la purificazione del profeta da ogni sua iniquità (5-7), c) l’invio del profeta a un popolo che non vuole ascoltare (8-13).

6.1 Nell’anno in cui morì il re Ozìa, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. 

Nell’anno in cui morì il re Ozia, in cui divenne lebbroso (cfr. 2Re 15,5) secondo l’aramaico, tradizione che si trova anche nei saggi d’Israele. la profezia infatti era cessata quando il re divenne lebbroso. I nostri Padri parlano invece di morte naturale.
Vidi il Signore, non è espresso il nome personale (il tetragramma sacro) ma quello che indica la sua signoria per sottolineare che Isaia non ne vede l’essenza perché nessuno ha mai visto Dio (cfr. Gv 1,18; Es 32,20). Aramaico: la gloria del Signore (cfr. Gv 12,41). 
Trono alto ed elevato, nota come gli accenti ebraici attribuiscano alto ed elevato al Signore. A questo pure giungono interpreti cristiani (cfr. 57,15);
i lembi del suo manto, toccare i lembi del manto significava chiedere misericordia (cfr. Mt 9,20: l’emorroissa).
riempivano il Tempio, Dio è seduto nel Tempio, che Mosè vide sul monte e il suo manto riempie con i suoi lembi il Tempio di Gerusalemme.

2 Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali. Con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava.

Sopra di Lui stavano dei serafini, pronti per servirlo.
Essi si chiamano serafini per la loro caratteristica di essere di fuoco, che impedisce l’accesso al Signore. Davanti a lui cammina il fuoco e brucia tutt’intorno i suoi nemici (Sal 96,3).
I serafini hanno ciascuno sei ali. Riferite alla natura spirituale, le ali indicano che essi sono invisibili, stanno davanti al Signore e velocemente eseguono i suoi comandi.
Si copriva la faccia, nemmeno gli esseri celesti possono contemplare il volto di Dio, come Mosè al Roveto ardente (cfr. Es 3,6); per questo l’aramaico aggiunge: per non vedere. Oppure essi si coprono il volto per non far vedere la gloria del Signore impressa in loro come accadde a Mosè che si metteva un velo quando era davanti al popolo (cfr. Es 34,35).
Con due si copriva i piedi per non essere visto (aramaico); oppure in segno di rispetto della regalità del Signore;
e con due volava per adempiere i comandi del Signore.
Il profeta vede solo delle ali; non solo non vede il volto del Signore ma neppure quello dei Serafini. Il più è nascosto ai suoi occhi; egli vede ben poco cioè quello che vide Mosè nel Roveto e gli anziani quando salirono verso il Signore (cfr. Es 24,10). Ma questo è sufficiente perché egli sia profeta del Signore.
La visione è unita alla parola, che Isaia ode con chiarezza.

3 Proclamavano l’uno all’altro, dicendo:
«Santo, santo, santo il Signore degli eserciti!
Tutta la terra è piena della sua gloria».

Con il volto e i piedi coperti, i Serafini gridano incessantemente l’uno all’altro il tre volte Santo (trisagio). La loro essenza è il loro grido e la loro comunione vicendevole è proclamare l’uno all’altro la santità del Signore. Essi ne sono ripieni come fuoco, ed è proprio della loro natura spirituale essere originati da questo fuoco, che li fa ardere di zelo per la santità del Signore. Essi proclamano che la gloria del Signore riempie tutta la terra.
Egli, che è il Signore delle schiere, non ritrae la sua gloria dalla creazione; essendo la sua gloria splendore e fuoco, non cessa d’illuminare e di bruciare e quindi di purificare la terra dal peccato del mondo (Gv 1,29).
Qui è l’origine della parola profetica. Essa non scaturisce da un semplice criterio di giustizia ma dalla santità stessa di Dio, che riempie della sua gloria tutta la terra. La Parola è della stessa natura dei serafini e contiene in sé lo stesso fuoco della santità divina e quindi ne manifesta la gloria.
La manifestazione piena della gloria avviene nell’Evangelo perché è in esso che si rivela chi è il Signore della gloria, che appare qui al profeta. È Gesù, il Figlio di Dio, colui che ci vuole partecipi della sua stessa santità, che Egli incessantemente comunica ai serafini. Nessuno infatti può riceverla direttamente dal Padre. Solo il Figlio, nel quale è corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 2,9), comunica l’unica santità divina, proclamata incessantemente dai Serafini, che ad essa partecipano nella loro stessa essenza spirituale.

4 Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. 

La voce del Serafino che gridava all’altro il tre volte Santo faceva vibrare gli stipiti delle porte mentre il fumo, che usciva dalla bocca di ciascun Serafino, riempiva il tempio. Le creature spirituali, che gridano la santità del Signore, fanno vibrare questa creazione anche nel suo luogo più santo e con il fuoco del loro ardore creano una cortina di fumo che nasconde la signoria di Dio allo sguardo di chiunque e chi è impuro trema di paura. 

5 E dissi:
«Ohimè! Io sono perduto,
perché un uomo dalle labbra impure io sono
e in mezzo a un popolo
dalle labbra impure io abito;
eppure i miei occhi hanno visto
il re, il Signore degli eserciti».

Davanti alla maestà del Signore, da lui contemplata per un istante, il profeta si dichiara perduto. Prima che il fumo dei Serafini veli il trono del Signore e ne impedisca la visione, Isaia si sente perduto. Ohimè! Egli che sta per annunciare ai capi e al suo popolo i guai, che noi già abbiamo ascoltato (3,9-10; 5,8-23), percepisce prima la sua situazione di perduto davanti alla santità del Signore. Solo dopo aver sperimentato questo e la conseguente purificazione, egli può annunciare al popolo la Parola di Dio e resistere davanti alla loro durezza di cuore.
Egli si vede uomo dalle labbra impure perciò incapace di proclamare la santità di Dio a un popolo anch’esso dalle labbra impure. Dal cuore e dalle labbra del popolo è scomparsa la Legge del Signore e sono comparse le parole, che rivelano una coscienza contaminata dal peccato. Il profeta si sente immerso in questa contaminazione e di fronte alla santità di Dio, proclamata dai Serafini, vede aprirsi le fauci della morte pronta a ingoiarlo assieme a tutto il popolo. 
L’impurità personale dell’uomo cresce a contatto con quella degli altri soprattutto attraverso la lingua. Il parlare vicendevole aumenta quell’impurità...
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